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La rivista culturale: "Il Salotto degli Autori" ( http://www.ilsalottodegliautori.it ) edita dall'Associazione letteraria "Carta e Penna"
La
bambola decapitata
Autore:
Helga Schneider.
Genere:
drammatico.
Siamo
a metà degli anni novanta e Chiara è una giovane giornalista che
vive a Roma.
Il
padre è un ex chirurgo che pur avendo perso la moglie anni prima, ha
cresciuto amorevolmente le due figlie nell'agiatezza di quell'alta
borghesia il cui stile, danaroso, sembra toccare il concetto di
«nuova» nobiltà che attraversò l'Italia in quegli anni.
L'attaccamento
di Chiara per la figura paterna sconfina però, fin dalla tenerissima
età, in un affetto quasi amoroso. Un attenzione il cui pudico
sentimento di inappropriatezza la spinge a nasconderla, rimanendo
all'opposto fedele ad un idea morbosa, quasi ossessiva, di vicinanza
al padre.
Forse
per questo non ha saputo coltivare una relazione seria nella sua vita
privata.
Tuttavia,
la sua esistenza pare oscillare sempre sul baratro degli eventi: una
quiete in attesa della tempesta che si concretizza quando il padre si
invaghisce di una donna molto più giovane. Una bellezza dell'est
europeo più interessata ai suoi soldi e allo stile di vita che con
essi otterrebbe.
Chiara
decide allora di lasciare la casa paterna poichè trova
insopportabile la convivenza con quella donna. Abbandona quindi
quell'attico in pieno centro dove godeva di ogni comodità per
prendere un appartamento e cominciare la sua vita da single.
Ma
è un compito difficile perchè attorno a lei ruotano molte persone
che lei stessa influenza con la macchinosità di un burattinaio che
sembra voler scegliere al posto degli altri e nel contempo mettere in
prosa teatrale l'altrui vita scrivendone la sceneggiatura degli
eventi.
Incontriamo
la sorella Anna che ha sposato da tempo un ricco imprenditore molto
più grande di lei, il Geometra Borgia che attraversa una profonda
crisi amorosa essendo stato tradito e lasciato da sua moglie e poi il
fotografo «viveur», la fidata domestica di famiglia, la
collega di lavoro.
Uomini
e donne che Chiara usa cercando di dominare le loro relazioni
affettive. Indirizzarle. In particolare quella del padre che a suo
parere deve assolutamente lasciare la donna dell'est. La
profittatrice. Il tutto all'ombra del fatto che nel contempo questa
sua smania decisoria di autogestione dell'altrui tempo e libero
arbitrio sembra trovare un curioso riflesso in una bambola che viene
del passato.
Un
oggetto che lei ha mutilato più volte, infliggendole quelle ferite
che forse sono il “transfer” in un linguaggio alla Dorian
Gray della sua capricciosa sofferenza emotiva.
E
quando tutto precipiterà e la bambola sarà decapitata cosa
significherà per la vita di Chiara: verità, morte o rinascita?
«Aprì
il cassetto e ne passò attentamente in rassegna il contenuto. Scelse
il coltello più grande e affilato che avesse, alzò il braccio e con
un colpo secco decapitò la bambola. La testa stranamente non aveva
opposto resistenza, rotolando verso il bordo e precipitando sul suolo
con un tonfo sordo». Tratto da «La bambola decapitata»
di Helga Schneider, ed. Pendragon.
Con
questo romanzo intelligente e malizioso, Helga Schneider ha
confezionato un affresco straordinariamente veritiero dell'annoiata
vita di quell'elite che negli anni novanta era la società
benestante, alto borghese. Quella dei salotti intellettuali
interessati al punto giusto. Facoltosi schiavi di uno stile di vita
compassato tra scandali, aspettative e frustrazioni.
Percorsi
di vita che a volte si intrecciano con il pathos della telenovela e
trasformano la vita in un cocktail di sensazioni emotive e
passionali, vissute all'ombra di tante piccole incompiutezze e luoghi
comuni.
Un
indisciplinata classe di finta aristocrazia che in spregio al galateo
dei costumi ha perfezionato un microcosmo populista di commedianti e
drammaturghi tutti incasellati nel recitare il proprio ruolo che con
la vita (quella con la maiuscola) ha ben poco da spartire. Quanto è
povera l'alta società.
La
fase più creativa della scrittrice è la perfetta coincidenza di
questi personaggi con il realismo contemporaneo dell'epoca. Essi sono
ben più che carta stampata. Una conclamata esistenza fatta di
raffinate opportunità ben elaborate e stilisticamente definite.
Chiara
è la viziata figlia di papà. In tutto e per tutto carica di luoghi
comuni che vanno dalla parlata tutt'altro che originale fino a questa
volontà trasparente di bambina vissuta in una casa di Ibsen che la
porta ad essere egocentrica ben oltre i limiti consentiti.
«Come
era riuscita a farla cadere dopo averla tormentata per tutto il
giorno facendosi alla fine odiare?». Tratto da «La bambola
decapitata» di Helga Schneider, ed. Pendragon.
C'è
una triste sciatteria che aleggia imperturbabile dietro questo
carosello di eventi ed è la ritualità di un limbo che sembra
riciclarsi, esportarsi, ricamarsi nel dettaglio su queste situazioni
baciate dal comune denominatore di un punto di vista costruito
sull'ostinazione.
Ma
poi le persone scivolano via dalle trame di Chiara, come granelli di
sabbia stretti nel pugno e ognuno ha il suo svolgimento che non
dipende da lei. Ne viene influenzato, ma non controllato.
«Cenarono:
lui fu affettuoso, anzi amorevole. Lei si sentiva confusa, stordita,
ma nello stesso tempo rilassata e felice. Tutto era molto diverso da
come si attendeva. Tuttavia, verso le dieci lui dichiarò di doverla
lasciare». Tratto da «La bambola decapitata» di Helga
Schneider, ed. Pendragon.
Romanzo
scritto con pregiata raffinatezza e garbata semplicità. Si insinua
con gentilezza senza pretendere di insegnare nulla, ma limitandosi ad
un buon racconto che pur rifiutando il giudizio lo propone al lettore
affinchè compia le proprie valutazioni.
«Lei
strinse nel pugno il foulard, già pentita di avergli detto di si».
Tratto da «La bambola decapitata» di Helga Schneider, ed.
Pendragon.
Una
sincerità espositiva che focalizza la narrazione partendo da Chiara
(il suo egemone, quasi anarchico sentore omnicomprensivo) finendo in
un ambiente fatto di feste, incontri, cene. Un «locus amoenus»
dove aleggia un lusso patinato, dispendioso, addirittura fastidioso
se concepito come una parentesi così dispersiva rispetto ai problemi
della gente comune.
Persino
le scelte della protagonista sembrano un piccolo ma insistente
«j'accuse»: una punzecchiatura al moralismo. In fondo se
Chiara lascia la grande casa lo fa per trovarsi un affitto molto
decorso e per niente rinunciatario. Peraltro con non poche
facilitazioni.
L'afflizione
per i problemi altrui scoperchia delle vere e proprie patologie.
La
sorella Anna è una donna che non vuole invecchiare prima ancora che
dal punto anagrafico per quello che la vita ha da offrire. Questo suo
aver seguito le tappe della crescita e dell'esistenza, bruciandole
come ci si aspetta dall'ipocrisia del senso comune la conduce ad un
amaro traguardo anticipato: sposata, con prole (a un uomo che forse
non la trova più così attraente ed originale). Apparentemente
«catalogata" senza più nulla da offrire al «nuovo" Anna
è uno stereotipo molto esistente ancora oggi. Donne che sono finite
ben prima dell'epilogo perchè ormai sembrano aver assolto al proprio
ruolo. Essere cioè uscite dal gioco dell'aspettativa. Oggetto di
osservazione, ma non più di complicità. Il quesito è: negazionismo
plausibile del nuovo o accettazione di questa permuta che il
benessere spesso richiama nel doversi accontentare di aver fatto il
proprio tempo?
Il
fotografo è un clichè. L'imbonitore illusionista che usa la moda
come il prestigiatore il suo cilindro. Un trampolino di luci e di
colori, sintetizzando l'abilità ingannatrice di Collodi per regalare
un avventura tutt'altro che interessante e men che meno scontata. C'è
un senso opprimente di spudoratezza telegrafata nella sua gestualità
insistente nel voler sfruttare l'altrui noia esistenziale e l'epilogo
è l'unico immaginabile.
«Giacomo
continuava a immortalare Anna, folgorato dalla sua bellezza: la
palpava con l'obiettivo, con l'obiettivo la carezzava e lei si
lasciava carezzare. Scuoteva i capelli e rideva. Rideva con gli
occhi, la bocca, i seni e i fianchi: con tutto il corpo».
Tratto da «La bambola decapitata»
di Helga Schneider, ed. Pendragon.
La
donna dell'est sintetizza un luogo comune in gran voga ancora oggi.
Queste bellezze che sembrano vendersi al miglior offerente. Senza
scrupoli morali si mettono in mostra ostentando un erotismo nelle
forme accompagnato alla volgarità con cui le esibiscono. Una
sessualità priva di sensualità. Senza alcun ritegno nel voler
proporre la merce al compratore.
Il
ricco chirurgo è un paradigma dell'insicurezza maschile che si
lascia prendere da un infatuazione, annichilendo dietro questa droga
afrodisiaca della donna giovane. Nell'illusione che tale relazione
possa fermare il tempo. E in essa egli si perde, pur nella salvezza
offertagli dall'amore per un altra anima che sembra altrettanto
giovane, ma meno interessata a ciò che lui ha più che a quello che
è.
«La
bambola decapitata» è un ottimo romanzo. Scritto con eleganza
espositiva e uno stile raffinato propone al lettore uno spaccato
dell'alta borghesia tra vizi e virtù di un amore sempre più
profano.
Consigliato.
Marco
Solferini
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