martedì 7 gennaio 2014

Per dieci minuti.

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Per dieci minuti

Autore: Chiara Gamberale
Genere: drammatico, sentimentale, psicanalisi.

Essere lasciati improvvisamente dal proprio marito è una bruttissima esperienza.

Un viaggio d'affari e poi una vita nuova. Distante da quella donna che ti ha seguito nella grande città e che sprofonda in un periodo di difficoltà simile ad un limbo apparentemente senza fine.

Poche parole: lacunose spiegazioni tenute in fin di vita più da una multiforme speranza che insegue una mitologica verità. Simile ad un ubriaco che nella propria stanza buia palpeggia l'oscurità come un avido amante in cerca non della luce bensì dell'ultima bottiglia.

Chiara è rimasta sola con i sui persuasivi ricordi. Non riesce a scrivere, pensa. Ha perso il lavoro, pensa. Soffre nella sua intima fragilità, pensa.

Il suo stato d'animo la porta dalla psicologa che le propone un gioco: per trenta giorni consecutivi, 10 minuti al giorno, sperimentare qualcosa di nuovo.

E' l'inizio di un ciclo «dal fare». Tante piccole nuove esperienze. Dai pancake, al guardare un filmato porno, dal tentativo di palestra, a un piccolo furto.

Ogni capitolo racconta una di queste «cose nuove» e si aggancia all'evoluzione consapevole del suo stato d'animo introducendo il meccanismo decisionale che la porta a scegliere come impiegare questi 10 minuti.

Nel sottofondo, aleggia costante e imperturbabile la riproduzione, su carta, delle sue riflessioni. Simile ad una coltre di nebbia che avvolge, ammanta, silenzia la persona. Il proprio Io.

Tanto smarrimento e molti patemi d'animo.

Capitoli, dal punto di vista espositivo, tutti uguali. Un oligarchia di confusione determinata dal tentativo di voler esprimere molto per stabilire un rapporto empatico, quasi complice, con il lettore. Il risultato però, sono pensieri lunghi, frastagliati, dinamicamente caotici che sottopongono il lettore-ricevente a delle somministrazioni di aggettivi, sinonimi, metafore, allegorie, il tutto formato tsunami. Si crea per effetto una dispersione che non circoscrive l'azione del pensiero, blasfemo o realista che sia. Siamo di fronte ad un trasloco infinito di beni non catalogabili.

Anche l'organizzazione focale dello stile narrativo è la medesima: diffusione, poi assorbimento e tutto che ricomincia daccapo nel paragrafo successivo. A tratti si percepisce un moto di liberazione «stop & go» che però è così labirintico che ad ogni angolo si smarrisce.

Il costrutto di periodi lunghi e ripetitivi, nel tentativo rafforzativo, anzichè alimentare il senso visivo dell'immedesimazione sembra più un autoconvincimento emotivo della scrittrice che sentendo dentro di sé irrompere il «tanto» vuole di getto conficcarlo sulla carta attraverso una battitura incalzante, ma disordinata.

Il carattere telegrafico dei pensieri minimalisti, all'opposto, propone quale alternanza alle sue riflessioni escatologiche una realtà che irrompe nell'alveo delle ipotesi e degli altroquando, ma anche in questo caso il testo è affetto da una capacità visiva monca, menomata, trasognante.

L'assenza di realismo muove il lettore in una terra di nessuno dove tutto il probabile diventa possibile.

Tutto questo rivela lo spettro transitorio di una debolezza emotiva che sembra più un transfer compiuto a metà: un paradosso dell'essere e del non essere. Il risultato è un sentimento di malcontento quale residuo delle scelte che l'Autrice più volte cita. Malcontento che defunzionalizza l'Essere, lasciandosi dietro, per esclusione, una logica anoressica che si autolegittima oltre la soluzione.

Definitivamente, si percepisce più una debolezza intuitiva che formale.

Questi 10 minuti sembrano un espediente per fuoriuscire dal crogiolo giornaliero di autoasservimento emotivo. Di abbandono. La presa di consapevolezza cioè che la prigione entro la quale ci possiamo rinchiudere pur non avendo sbarre ce le costruiamo noi. Anche se invisibili. Un mallo quindi, all'interno del quale la sofferenza provoca il denutrimento dell'Io e la ripetizione diventa una facile coperta di Linus in cui rifugiarsi, ma nella quale non guarire. Il rischio è l'assuefazione con la conseguenza di somatizzare la convivenza con il dolore.

Il carattere gentilizio delle frequentazioni è troppo poco comune rispetto alla gente che legge. La vita dell'Autrice è diversa da quella di tanti altri e comunque beneficia di una notorietà che la rende distante dal lettore medio e come tale difficile da immedesimare.

La figura del Bambino è una riscoperta del Sè, meno contaminato dagli errori della crescita. Incontriamo lo sfogo materno della protezione e numerose altre icone note alla psicanalisi e alla sociologia.

Il finale è sconclusionato perchè troppo amorevolmente possibilista. C'è ancora tanta indeterminazione e molta, davvero troppa adolescenza. Siamo ai livelli delle canzoncine liceali che prima ti dicono quanto si possa soffrire poi ti propongono il ritornello dell'happy end come un regalone impacchettato con il fioccone colorato della speranza.

«10 minuti» è un romanzo a mio parere scadente che mi ha decisamente annoiato. L'ho trovato profondamente immaturo e con uno stile espositivo a tratti concitato, a volte opprimente, spesso fastidioso.

Sconsigliato.

Marco Solferini
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