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L'invisibile
Autore:
Pontus Ljunghill
Genere: Thriller
Il
commissario John Stierna si è ritirato dalla polizia criminale di
Stoccolma e vive in un paesino di nome Visby.
La sua
routine è interrotta dalla visita di un giornalista freelance, tale
Gronwell, che sta scrivendo un articolo sui vecchi casi irrisolti.
Vecchie indagini; vecchi nomi che riportano Stierna ad un passato,
una vita così diversa rispetto a quella attuale. Anche per via del
fatto che negli anni dei ricordi c'è un amore oggi sciupato:
Karolina, l'ex fidanzata.
Ma c'è
anche un altro nome che lo tormenta da sempre: Ingrid Bengtsson,
figlia di Maria, una bambina di appena 8 anni ritrovata morta
ammazzata nel cantiere navale abbandonato di Djurgarden da un
alcolista vagabondo.
Fu
l'inizio di un indagine per l'astro nascente della polizia, il
giovane e promettente commissario Stierna, un indagine che dopo 25
lunghi anni non ha portato a nulla, se non all'attesa di una ormai
inevitabile prescrizione. Di lì a pochi giorni.
Il
concetto di «invisibilità» è qui un anonimato apparente che si
esprime nell'ottica più concettuale dell'iterazione fra persone. La
mancanza della quale emargina il soggetto, lo trasforma in modo
kafkiano, ruminandolo e rigettandolo.
Di qui
il concetto che permea tutto il romanzo, relativamente all'assassino:
esserci, ma senza lasciare traccia.
Siamo
in presenza di un esposizione narrativa cadenzata da un ritmo lento,
focalizzato sull'azione dei personaggi. Un ambientazione meticolosa
che nel tempo passa da un osservazione centralizzata sulla
microdefinizione ad una ingigantita.
Emerge
e prende forma una ricerca che diventa via via più utopica,
rifiutando i limiti posti dal realismo. La correttezza dell'indagine
di Stierna si scontra con l'assoluta incapacità della medesima di
penetrare il mallo dell'invisibilità/inconsistenza.
Le
motivazioni sottese all'omicidio sono futili, utili al genere di
narrazione, ma del tutto banali per come costruite.
Fin
troppo scontato e decisamente già noto il percorso sul passato
dell'assassino.
Interessante
la centralità del «caso» in contrapposizione alla logica deduttiva
dell'indagatore qui privato della genialità, che si affida alla
metodologia empirica, ma questa tematica è sviluppata male, in modo
tardivo e con un fatalismo deprimente.
Il
finale è drammaticamente monotono, per niente originale, facilmente
intuibile (esattamente come l'uscita di scena dell'assassino).
Dal
punto di vista espositivo, la stesura del romanzo soffre dell'assenza
di un analisi logica dei periodi espositivi più paratattica e meno
argomentativa, il che comporta una leziosità angosciante e
stancante. Il lettore, in pratica, sa già cosa lo aspetta, deve solo
capire il «come», ma tutto si svolge sempre dentro gli schemi e
ritengo anche in modo assai poco affascinante.
«Si
vuole essere amati; in mancanza di questo ammirati; in mancanza di
questo temuti; in mancanza di questo detestati e disprezzati. Si
vuole suscitare negli uomini, un sentimento di qualche tipo. L'anima
rabbrividisce dinanzi al vuoto». Ritengo che questa citazione
abbia fortemente ispirato l'aspetto sociologico del protagonista
killer, ma non ne abbia consentito quel salto di qualità
psicoanalitico che avrebbe potuto elevarlo al di sopra di una
caricatura banale, schiacciata tra la consuetudine e l'inconsueto.
L'assassino non ammalia. Non affascina. Non seduce o appassiona il
lettore.
I
dialoghi si alternano troppo con il corpo descrittivo dando
l'impressione di non essere autonomi (mentre invece riuscirebbero ad
esserlo con maggior sintesi).
«L'invisibile»
è un romanzo costruito attorno ad un idea: un tentativo riuscito
complessivamente male. Consigliato solo agli amanti del thriller che
ne leggano almeno 50 l'anno e proprio sentono di non poter fare a
meno del soggetto in questione giacché non è molto percorso
nell'attuale panorama editoriale.
Astenersi
invece tutti coloro che amano i ritmi intensi, coinvolgenti e carichi
di suspense: qui è tutto l'opposto.
Marco Solferini
marcosolferini.pubblicazioni@gmail.com
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