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Storia di un oblio
Autore: Laurent
Mauvignier.
Genere: attualità,
drammatico.
Un uomo entra in un
supermercato. Prende una birra in lattina, la apre e la beve. Ripone
la lattina sullo scaffale. I vigilantes lo raggiungono e lo
circondano. Lo portano via. Lontano dal supermercato e dal magazzino.
In un vicolo cieco. Contro un muro. Senza via di scampo. Un posto
dove potergli dare una lezione, dove nessuno lo avrebbe sentito
urlare. E nemmeno.. morire.
Perchè quell'uomo senza,
nome muore in conseguenza del pestaggio. Lasciando i suoi aggressori
in piedi, davanti al misfatto compiuto. Attoniti, come il giocattolo
si fosse improvvisamente rotto.
L'Autore, narra un
episodio di cronaca in un lungo, ininterrotto pensiero. Nessun punto.
Solo una dissertazione che comincia dai fatti e passa attraverso
l'escalation tipica della cronaca.
Il procuratore che
inquisisce i colpevoli. Il fratello della vittima chiamato a
riconoscerla. Le famiglie degli assassini che vedono stravolta la
loro quotidianità.
Più in generale, una
morte, che come una freccia di cupido attraversa l'anima e la vita di
numerose persone. Cambiandole completamente, aprendo la finestra su
di un inferno parallelo, fatto di colpe innominate ed insospettabili
colpevoli.
Si apre un sipario, su di
uno show nostalgico e languido di parole, smarritesi nel tempo,
perchè questa è la storia di uno sconosciuto ucciso per un motivo
futile, del tutto irrisorio.
L'interrogativo di fondo:
può una vita essere spezzata e così brutalmente interrotta, come un
treno che improvvisamente, privato dei binari, deraglia nel nulla?
Che sapore ha una simile
tragedia?
Quello sconosciuto, è
colpevole solo di indossare gli abiti sbagliati, tale per cui era
dichiaratamente un appartenente a quella classe di invisibili, così
indesiderabili da diventare qualcuno solo nel momento del bisogno,
quando cioè la società civile (ri)scopre se stessa, rifiutando il
calore umano.
Un modo come un altro per
uccidere la pietà, schiacciandola fra il martello della
superficialità e l'incudine dell'indifferenza.
Nel mezzo, solo tanto
dolore.
Urlato, ma senza parole.
Strillato, senza fiato.
Un dolore assassino,
passionale come l'amore. Perchè quello stesso reietto è un uomo e
ha conosciuto le stesse emozioni dei suoi carnefici. E' stato amato,
odiato, ha provato soddisfazione, speranza, ha riso e ha pianto. Ha
sentito il cuore spostarsi dal petto e finire in gola, quando ha dato
il primo bacio.
E ora giace, nel sonno
eterno e senza risveglio. In mezzo alla sporcizia del proprio sangue.
Oltre il dolore delle tumefazioni e delle ossa rotte. Una fine così
piccola da essere immensa.
Mentre la società, che
già lo aveva condannato a morte, giorno dopo giorno, con il
disprezzo dell'ignoranza, cerca un colpevole e persegue gli autori
materiali del fatto.
L'Autore decanta un
episodio di cronaca, alternando la dialettica cruda della narrazione,
quasi giornalistica, con riflessioni, in parte oggettive e in altra
misura soggettive. Lasciando che siano i punti di vista e quelle
irritualità tipiche dei luoghi comuni, a prendere il sopravvento.
Perchè stavolta, giudice
e giuria sono i lettori.
Il risultato è un
meticoloso “j'accuse” ai crismi della civiltà moderna, la cui
natura brutale si addormenta nei sogni delle persone c.d. normali.
“Storia di un oblio”
è l'intenso affresco di un omicidio brutale quanto futile.
L'immotivata narrazione del lato codardo della civiltà, plagiata
dalla superficialità e schiavizzata dall'ignorante indifferenza.
Marco Solferini
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