sabato 4 febbraio 2012

Violazione


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Violazione

Autore: Alessandra Sarchi.
Genere: Drammatico.


Romanzo ambientato a Bologna. La storia è quella di due coppie, marito e moglie, l'una abbiente come genericamente viene intesa la ricchezza, poggia i propri averi sull'attività imprenditoriale di Primo Draghi, vero e proprio “pater familias”, e proprietario di una fattoria nel complesso residenziale “I cinque pini”, nonché di una seconda struttura, in affitto, a mò di podere, anch'essa poco fuori il centro città, a 6 km da quello che sembra un altro mondo rispetto alla campagna, con le sue regole, usi e costumi.

L'altra coppia, Alberto e Linda Donelli, entrambi benestanti, desiderosi di cambiare casa per andare a vivere nel “mitico” verde. Desiderato, ricercato, idealizzato.

Alberto e sua moglie, sono una coppia al giro di boa, di mezz'età; hanno fatto ciò che la società civile si aspetta da quelle persone il cui percorso di vita ad un certo punto spinge verso il matrimonio, come tappa obbligata agli “step” di carriera, nel settore pubblico come funzionario della Regione, lui e in quello medico, in qualità di ricercatrice, lei.

La casa è per loro un traguardo ulteriore, quasi il coronamento di un ciclo vitale: l'ultima pennellata del dipinto o il pezzo mancante del puzzle, per questo rappresenta un alveo di desiderio misto al realismo di una ricerca, a tratti destinata ad essere imperfetta. Come se ciò che effettivamente esistesse nelle loro teste, fosse l'intenzione, che non si concretizza.

Abituati a convivere con questa idea, la scoperta di una casa in vendita, come quella nella residenza di Primo apre ad un universo inesplorato, al quale si avvicinano con un ritrovato senso di desiderio verso il cambiamento.

Fungendo da catalizzatore quindi, il possibile acquisto li fa dapprima conoscere e successivamente avvicina due mondi, naturalizzati nelle loro differenze.

L'Autrice centralizza con una retorica compensativa lo spazio vitale che, apparentemente, deve esistere fra due forme mentali e comportamentali, distinte.

Il personaggio più elaborato e per molti versi il vero protagonista è l'imprenditore Primo, i cui principali aspetti caratteriali, ricalcano quella tipica visione “dell'animal spirit”: arrivista, cinico, ipocrita, forte di convincimenti fossilizzati nella sua personalità, meno artificiosa e più fedele ai punti di forza che gli hanno permesso di emergere nella giungla urbana.

Gli fanno da contraltare le debolezze degli altri personaggi, i quali vengono sciorinati con una metafisica sociologica, fatta di desideri e paure. In buona sostanza sono i volontari carnefici che, nella loro pedissequa ingenuità voluta, alimentano il mercato di Primo, il quale sembra una tacita conseguenza della loro superficialità e distrazione.

Le occasioni non mancano per apprezzare questa contrapposizione, ma sono decisamente troppo ricamate su un alter ego stereotipato e banale. Le scelte dei protagonisti paiono il frutto di un copione già scritto, ampiamente prevedibile. Inoltre la dialettica comportamentale svilisce, nella ripetitività ossessiva di preconcetti.

Il lettore è intrappolato in una sorta di museo delle cere che al limite stupisce ed incuriosisce nel singolo istante, ma poi si smarrisce in un arte troppo effimera e meno contemplativa delle sfaccettature umane. Il senso di smarrimento irresponsabile che si percepisce dalla lettura, si relativizza in una sorta di malnutrizione concettuale.

I singoli ambienti, dove si svolge questa narrazione, sono ricchi di un decadimento fatalista ed esistenziale, quasi corrosivo e per molti versi disfattista, perchè rinunciatario a qualsivoglia riscatto.

Le circostanze che si producono sembrano parentesi paradossali, inseguite con una pedissequa elencazione di concetti simili ad ossimori morenti, cui è difficile porre la debita attenzione, limitandosi ad una blanda elencazione di frasi e momenti infiniti, che si ricalcano, volendo sembrare un labirinto, mentre nella realistica sensazione di chi legge non appassionano, bensì annoiano.

Troppo lungo e troppo ripetitivo: una costante (ri)elaborazione per arrivare ad un concetto di fondo assai semplicistico e per nulla innovativo.

Onestamente, le tematiche affrontate quali le collusioni oramai assai note, fra i dirigenti della Regione con gli imprenditori locali, le permute di favori a mò di scambio, tra l'arrivismo del capitalista e le necessità di chi opera nel settore pubblico, sono all'ordine del giorno e non serve un romanzo per apprenderle, basta un quotidiano.

Inoltre, simili fattispecie, già si verificavano all'epoca dei “nostri” Romani, tanto nella Repubblica quanto nell'Impero, e come tale non pare verosimile che occorra oggi rielaborare la tematica in una chiave civica, cioè volendo enucleare il malvezzo come parte integrante di una normalità deviata.

Lo sappiamo già.

La cultura della coppia di Alberto e sua moglie è credibile nella stiracchiata amoralità emotiva, un sedativo per l'identità di coppia che si abbandona a tratti più rituali, come una prassi feticista, la cui adorazione consiste nell'accettazione di crismi quotidiani. Però, nel ruolo che è chiamata a svolgere per il lettore, come cavo catodico di quell'immagine che deve arrivare perchè rappresenta il messaggio di fondo del romanzo, risulta molto lontana se non addirittura inarrivabile, rispetto alla “working class” Bolognese.

Questa coppia sembra lo stereotipo di un francesismo, tipicamente organizzato del microcosmo casa - famiglia - frequentazioni - prole. Un archetipo assai noto, ma non così sviluppato, spesso anzi, riservato ad una borghesia di mezzo.

Si percepisce il senso di chiusura, e di superficialità, a tratti di voluto e consapevole smarrimento nel non saper tornare a vivere con gli occhi della mente, ma non è credibile. Non prende forma, non vive, rimane lì, sulle pagine del romanzo immortalato nell'inchiostro e il lettore al limite potrà arrivare a pensare che da qualche parte ha conosciuto qualcuno di simile.

E la sensazione è proprio questa che cioé l'Autrice si sia basata, nella descrizione, su persone che effettivamente ha conosciuto, ma che forse ha anche profondamente incompreso, perchè la trasposizione letteraria è semplicemente penalizzante, stucchevole e per effetto non appassiona il lettore, invertendone il senso critico.

Ci sono troppe pagine: lo scritto sarebbe dovuto essere sfoltito e reso più omogeneo e scorrevole, razionalizzando, innovando, donando cioè un percorso formativo a tutti questi caratteri, che invece muoiono esattamente come nascono.

La contrapposizione fra città, o meglio centro città, perchè Bologna vive una radicata distinzione fra quartieri che non è assimilabile a quella di grandi metropoli, e campagna, intesa come sotto - colli e gli stessi, celebri, colli Bolognesi, non regge.

Sembra estrapolata più da una cultura “new age” dello scorso secolo, rapportata a quel “suburb” tipicamente anglo sassone, dove accanto al centro cittadino, vive e per molti versi sopravvive, una oasi, che non è campagna e non è città. La via di mezzo. L'alternativa. Il luogo dove sono cresciute e solidificate le comunità del “verde”.

Ma a Bologna questo non si mai realmente accaduto.

Prima di tutto perchè la distanza fisica dal verde è assai limitata, e tutti i Bolognesi con il motorino prima e con la macchina poi, adorano trascorrere i pomeriggi e i fine settimana nelle nostre campagne, che non sono sconosciute, bensì amichevoli e aperte a tutti.

Inoltre, la città stessa è costellata da piccoli e medi comuni, si pensi a Casalecchio di Reno o San Lazzaro, e molti altri ancora che, se osservati con attenzione, magari anche dall'alto di un “Google Earth”, riveleranno, per estensione e attaccatura alla città, come possono benissimo considerarsi quello che, in grandi metropoli, sono i quartieri. Non abbiamo, in Bologna, Lambrate come a Milano, ma potrebbe benissimo esserlo un Comune limitrofo. E non a caso, oggi si parla di città metropolitana.

Nell'ottica della scrittrice la “city” sembra molto più popolata, ma in verità parliamo di un Comune che, negli ultimi anni, ha subito un decremento demografico, non verso la campagna, ma verso Comuni limitrofi, quasi sempre dovuto ad una scelta sulla qualità della vita.

Interessante e pregevole lo spunto ambientalista, più volte riportato nel testo, a salvaguardia in parte del paesaggio e in altra misura dei prodotti che la terra ci offre.

L'esposizione da il meglio di sé per quanto riguarda gli aspetti più tecnici, e in particolare architettonici, ma che probabilmente non appassionano più di tanto il pubblico medio, a meno che l'attesa non sia rivolta a persone piacevolmente interessate o comunque istruite sulla materia.

I co-protagonisti, purtroppo, sono tragicamente artificiosi, veri e propri stereotipi di una semplice immagine del sé, che va dal giovane immigrato irregolare (passando dalla servetta di casa che viene “profanata” dal padrone), una delle cui figlie è l'ingenua amicona del cuore. L'evoluzione, come pure il finale delle loro vicende e relazioni, è scontato, un vero e proprio domino di cliché comuni, la cui spiegazione non coinvolge e non ammalia.





Violazione” è un romanzo scarso, poco interessante e significativamente involuto, i cui contenuti non decollano e lasciano il lettore in un limbo di ossessivo trascinamento, perso fra pensieri e parole che non appassionano. Una trama banale e poco coinvolgente si risolve in un romanzo prevalentemente noioso.

                                                               Marco Solferini


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