lunedì 2 gennaio 2012

Opus Dei: il segreto dei soldi


opus-dei-segreto-dei-soldi
Il Blog ringrazia e consiglia:
museo-capellini (1)Il prestigioso Museo, nel cuore storico di Bologna, offre oltre alle esposizioni, interessantissimi eventi,
fra i quali si segnala "
L'antica basilica dei Ss. Vitale e Agricola in Arena a Bologna" in programma
Sabato 3 Dicembre alle 16.30, questo il link su Facebook dell'evento:

http://www.facebook.com/event.php?eid=217292798340610

Museo Geologico Giovanni Capellini
Via Zamboni, 63 - 40127 Bologna - Tel. 051 2094555

www.museocapellini.org

* * *

La rivista culturale: "Il Salotto degli Autori" ( http://www.ilsalottodegliautori.it ) edita dall'Associazione letteraria "Carta e Penna"
CeP
www.cartaepenna.it

* * *
SI RINGRAZIANO PER LA GENTILISSIMA COLLABORAZIONE:

LIBRERIA MONDI NUOVI

Dove i Libri e i Fumetti diventano.. da collezione!

Libreria Mondi Nuovi: da oltre 30 anni il luogo giusto
dove trovare tutto l'usato per Libri e Fumetti, a Bologna e Provincia

* * *

Libreria - Galleria
IL SECONDO RINASCIMENTO

Via Porta Nova 1/A (ang. via C. Battisti) - Bologna
ROMANZI - SAGGI - TESTI UNIVERSITARI
* * *


Opus Dei, il segreto dei soldi


Autori: Angelo Mincuzzi, Giuseppe Oddo.
Genere: attualità, cronaca, storia contemporanea.



Dentro i misteri dell'omicidio Roveraro”, questo il sottotitolo del romanzo che è da poco uscito in tutte le principali librerie e che, esattamente come altri omologhi, promette rivelazioni di varia natura sull'Opus Dei, cioè la Prelatura della Santa Croce, fondata nel 1928 dal sacerdote spagnolo Josemarìa Escrivà de Balaguer, oggi Santo, e canonizzata prelatura personale nel 1982.


Poiché è un argomento di stringente attualità, come mio solito, dedico una rapida lettura antecedente al testo, alle note bibliografiche, per verificare cioè di quali citazioni gli Autori si siano avvalsi. Colpisce immediatamente che, oltre il 50% dei testi in questione sono di recente pubblicazione, più o meno a partire dal 2001, mentre la stragrande maggioranza hanno un impronta dichiaratamente critica verso l'Opus Dei.


Premesso questo, bisogna distinguere questo romanzo in tre fasi, nella prima gli autori analizzano, con piglio giornalistico, l'omicidio di Gianmario Roveraro, un finanziere molto noto fra gli anni 70 e 90, considerato ai vertici della struttura dell'Opus Dei in Italia.


Nella seconda parte, quella centrale, c'è una lunga analisi delle principali operazioni finanziarie cui Roveraro ha presto parte, in oltre un ventennio di attività.


In ultima analisi c'è un approfondimento, anche dal tenore conclusionale, sulle attività finanziarie ed economiche dell'Opus Dei con particolare attenzione alle proprietà immobiliari e alla struttura di “governance” societaria.


Le premesse quindi erano interessanti, la possibilità cioè di leggere un romanzo che, partendo da un episodio di cronaca nera, ampliasse il proprio raggio d'azione attraverso un indagine storica e scientifica circa i contenuti dell'Opera; purtroppo, il risultato è assai deprimente.


Anzitutto, corre l'obbligo di precisare che mi pare sia venuto meno il rispetto per il dolore dei Famigliari della vittima che è stata dapprima rapita, poi segregata e infine uccisa; il cui corpo è stato fatto a pezzi a scopo di occultamento.


Una vicenda quindi umanamente straziante che di per sé giustificherebbe la giusta e decorosa riservatezza domandata dalla Famiglia. Non un mistero o un enigma, bensì semplicemente la volontà, che a tutti noi appartiene, di vivere in modo personale il dolore per la perdita di una persona amata.


Il processo ha sentenziato un colpevole, con una confessione piena. La magistratura ha svolto il suo dovere, tanto nelle indagini quanto nella sentenza motivata, con la quale sono state comminate le pene, come stabilito dalla legge penale, in ragione della natura del reato e tenendo altresì conto della personalità del reo confesso.


Perchè, quando la giustizia funziona ed è come tutti i Cittadini vorrebbero, cioè equa, rapida, ma precisa, non va bene tanto quanto nella circostanza opposta, in cui sembra la macchina della giustizia non perseverare abbastanza?


La tesi di fondo che gli Autori ci propongono è che il finanziere Roveraro era troppo esperto per aver aderito ad un operazione spregiudicata, posta in essere da due blandi truffatori, nemmeno troppo abili che promettevano una fortuna investendo poco, una cifra evidentemente ed eccessivamente alta, rispetto ai capitali impiegati.


Secondo gli Autori c'è dell'altro, qualcosa di misterioso: una spiegazione che inseguono pagina dopo pagina, esplorando ambiti, circostanze e ambienti, solo, paradossalmente per concludere con il concetto che “siccome non hanno trovato nulla, bisogna andare oltre”. Ma questa sofisticazione, per quanto appassionante si smentisce da sola e per certi versi banalizza l'indagine giornalistica stessa, esponendola pesantemente sul fronte della critica ben oltre il diritto di cronaca.


Consapevoli di questo, va dato atto del fatto che gli Autori, nella prima pagina della seconda parte del libro, assumono una posizione in proposito cioè spiegano le ragioni del loro convincimento.


Rimanendo per adesso sulla prima parte, emerge anzitutto una verità, a mio avviso rilevante. Non è detto che Roveraro sia stato effettivamente un finanziere. Sicuramente era un giovane appassionato dell'alta finanza, negli anni 60, quando la stessa era un salotto privato ed autogestito da norme preclusive. Un giovane di talento, che univa la passione con l'audacia e che ebbe la possibilità di approfondire i propri studi negli Stati Uniti.


In quegli anni, la finanza americana era circa un ventennio avanti alla nostra, ciò significava che quel che da loro stava accadendo sarebbe arrivato, dopo, anche in Italia, quindi è ovvio che quanti avevano la possibilità di informarsi, a diretto contatto con quel mercato, in un certo senso viaggiavano nel futuro.


Roveraro conobbe negli USA i fondi di investimento che oggi per tutti noi sono prodotti finanziari molto comuni, ma all'epoca erano sconosciuti. Però capì che sarebbero giunti in Itali, prima o poi, e in un economia capitalistica vale la regola: “chi prima arriva meglio alloggia”.


Non è un caso che i primi significativi passi lavorativi il Roveraro li fece nel 1964 e che solo nel 1984 i fondi di investimento presero campo. E lui ebbe un grande successo proprio grazie a quest'ultimi: fu al centro di operazioni di raccolta e reinvestimetno di capitali, per il tramite di società che si occupavano dell'uno e dell'altro aspetto, all'interno di un medesimo gruppo o in rapporto con altri.


Il Roveraro che emerge dalla ricostruzione degli eventi legati alla sua vita finanziaria sembra più un trader, un broker, un market maker (figura sconosciuta al mercato degli investimenti Italiano) e un manager, come in effetti è stato professionalmente per buona parte della vita. Ma non un finanziere, perlomeno “puro” del tipo cioè che oggi è identificato dalla stampa e così come viene, professionalmente inteso dal pubblico e come l'utilizzo del termine, in quanto tale, potrebbe suggerire. Era un uomo intelligente che sfruttava le leve finanziarie del mercato borsistico per massimizzare i guadagni ed ottimizzare i capitali gestiti.


Il termine finanziere pertanto ingenera una falsa aspettativa nel lettore e gli Autori non lo definiscono correttamente, essendo pertanto lecito supporre che i contorni del medesimo potrebbero essere un pò scarni o quantomeno non così definiti come si vorrebbe lasciare ad intendere.


Nel secondo capitolo del romanzo il meccanismo narrativo è simile a quello usato in una considerevole moltitudine di testi contemporanei che si occupano di presunti aspetti scandalistici, fra il giornalistico ed il giudiziario.


Si tratta di offrire al lettore un vero e proprio arcipelago di nomi, alcuni, in prevalenza, di persone e altri di società.


Il sistema è quello dell'accostamento.


In pratica, si suole affermare: “Tizio, era fra l'altro socio della società Alfa, nel cui consiglio di amministrazione, figuravano anche Caio, che poi ebbe a che fare con la società Beta su cui pendono indagini di vario genere, e Sempronio già indagato anni addietro per il reato tal dei tali, e successivamente buon amico di Mevio che ebbe a che fare con la realtà ecc. ecc.” Non sfuggirà al lettore più attento che questo meccanismo ampliativo, cerca costantemente di mettere in risalto le indagini o il malaffare di persone più o meno note, ma non tocca minimamente Tizio.


Per due ragioni: la prima riguarda il reato di diffamazione a mezzo stampa, da cui ogni buon giornalista prende debitamente le distanze, mentre la seconda invece è per il più banale motivo, che non c'è nulla a carico di Tizio.


Il che è esattamente quello che ad una attenta e minuziosa lettura emerge dal contesto di questo romanzo: Roveraro era un uomo onesto.


Il fatto che, per il ruolo di primissimo piano rivestito all'interno di importanti case d'affari abbia incontrato persone, alcune delle quali, prima o poi, abbiano avuto disdicevoli vicende giudiziarie, non influenza il buon nome del Roveraro.


E non influenza nemmeno quello dell'Opus Dei, perchè nel dettaglio, andando cioè a controllare nome per nome, è una percentuale minima di soggetti legati all'Opera quella che, ipoteticamente, è tacciabile di censura su episodi di finanza: numericamente, rispetto agli aderenti, parliamo di meno dello 0,25%!!!


Del resto, sarebbe come pretendere che taluno, prima di stringere la mano ad uno sconosciuto gli domandasse il casellario giudiziario o perlomeno facesse svolgere indagini sul suo conto, ma in Italia c'è ancora la presunzione di non colpevolezza e a me, come forse a tanti lettori, piace pensare che l'amicizia o la stima si possano sviluppare, anche non necessariamente per questioni lavorative come tale, non posso e non voglio essere giudice, giuria ed esecutore di alcuno.


E' quindi imbarazzante e fastidioso scorrere le pagine di questa seconda parte del romanzo e ripetutamente accorgersi che oltre il fumo, davvero tanto, non c'è sostanza.


Di questo gli Autori forse sono consapevoli ed ecco che, di tanto in tanto, emergono dei sottoparargrafi dove il meccanismo dell'assimilazione e dell'ampliamento si massimizza, arrivando all'immancabile “Dell'Utri con annesso Mangano e ovviamente Silvio Berlusconi” passando poi attraverso delle vere e proprie giustificazioni sul comportamento capitalistico e opportunista degli aderenti all'Opus Dei, che troverebbero conferma negli scritti di Sant'Escrivà de Balaguer.


Le prime elucubrazioni, per quanto possano interessare certuni lettori, non c'entrano assolutamente nulla con l'omicidio Roveraro, che dovrebbe essere il tema centrale della narrazione.


Quanto alle seconde, invece, io ho contato, nel romanzo, tre frasi estratte dal testo “Cammino” di Escrivà a giustificazione delle posizioni suggerite dagli autori.


Dissento su questo metodo.


Il testo di Escrivà (cui per completezza ne seguono altri due), contiene una serie di affermazioni molto estemporanee, quasi aforismi, massime, pensieri, o forse meglio sarebbe, riflessioni dell'uomo religioso, che conosce la vita e la interpreta, attraverso la santificazione del lavoro e della quotidianità. Sono frasi intense, cariche di emozioni, che suggeriscono, nel loro insieme, un atteggiamento rivolto alla rettitudine e all'attenzione per i sentimenti umani, quegli stessi che spesso generano nelle persone dei conflitti da cui scaturiscono sofferenze e alienazioni.


Non a caso il testo d'intitola “Cammino” perchè lo scopo sembra quello di tracciare un percorso rivolto alla scoperta di un identità di quell'Io che può essere magnifico e grandioso se devoto al concetto d'amore cristiano per la vita.


Testi analoghi, per scopi e intendimento, sono pubblicati da molti Autori che hanno fatto la storia delle religioni e dottrine filosofiche, teologiche e più in generale, di pensiero.


E' ingiusto e poco corretto banalizzare, in maniera irriverente, quello che ha scritto Escrivà, svuotarlo cioè del gusto e del sapore di un esperienza; si può certamente non condividere, ma è spaventoso il fatto che manchi il rispetto verso la diversità, anche di pensiero.


Quindi, a parte un enorme numero di nomi e cognomi di quelli che sono stati circa 100 personaggi notissimi alla finanza, alla politica e all'economia nostrana, partendo da Gardini e finendo con Andreatta, in questa seconda parte del testo non ho rinvenuto grandi scoperte o sofisticazioni relative al tema base dell'omicidio Roveraro.


La parte più interessante riguarda alcune interviste di personaggi che hanno fatto la storia silenziosa della finanza bancaria e dal cui resoconto emerge però una raffigurazione del Roveraro molto onorevole, rinomata, riservata certo, ma anche estremamente semplice, che si contrappone a quell'alea di mistero che gli Autori invece sembrano inseguire, senza mai trovare.


Altresì interessante è la sua storia professionale, dalla società Sige, alle grandi raccolte del risparmio gestito fino alle scalate che hanno attaccato alcune roccaforti della finanza Italica, specialmente quelle della galassia Mediobanca, con la contrapposizione a Enrico Cuccia (l'unica intervista mancante che a mio avviso sarebbe stata assai gradita).


Riassumendo, nella prima parte del romanzo, emerge il ragionamento: “siccome Roveraro era un finanziere esperto e capace, non avrebbe mai potuto fidarsi di questi millantatori che lo hanno coinvolto in una truffa e poichè la procura non ha trovato nulla di rilevante, dobbiamo indagare più a fondo”. Si può condividere o meno il presupposto, al lettore la scelta.


La seconda parte invece, è una pedissequa elencazione di nomi e di società, peraltro spesso già riportata in altri testi di recentissima pubblicazione (non a caso nelle note vengono indicati praticamente tutti) la quale mi è parsa quantomeno indifferente al tema centrale della narrazione.


L'ultima parte del romanzo è invece obiettivamente la più interessante, nel leggerla mi sono anche chiesto se non fosse in effetti la ragione della pubblicazione in sé considerata. Tuttavia, anche questa non ha nulla a che spartire con il Roveraro, se non qualche temerario aggancio alle persone che frequentava e che appartenevano all'Opera.


Siamo qui in presenza del lavoro d'indagine giornalistica che ha preso di mira le proprietà immobiliari dell'Opus Dei.


La ricostruzione offerta è degna di nota ed interessante. Il lavoro d'indagine è indubbiamente stato compiuto con quella tecnica dello scribacchino che ha spesso premiato le grandi firme del giornalismo.


Emerge la curiosa discrasia fra quanto dichiarato dall'Opus Dei e quanto invece gli Autori ritrovano: un vero e proprio arcipelago di proprietà, gestite attraverso un meccanismo atipico che prevede il coinvolgimento diretto di Associazioni no profit, Onlus e Fondazioni.


Se le cifre fossero confermate (va sottolineato che gli Autori non hanno pubblicato, come usualmente si è soliti fare, copie di documenti autentici in calce al romanzo) ciò significherebbe che, in poco più di mezzo secolo, l'Opera è riuscita a costruire in Italia e non solo, un impero immobiliare.


In questa terza parte l'Opus Dei viene descritto come una vera e propria macchina capitalistica per accumulare ricchezza, tramite testamenti degli iscritti, contributi pubblici, donazioni di appartenenti devoti che ricoprono le più alte cariche imprenditoriali e bancarie.


Emerge un emiciclo di potere, quasi una sorta di elité interna di cui non tutti gli aderenti hanno cognizione e forse non tutti hanno la possibilità di accedere.


Curiosa e interessante la motivazione offerta dagli Autori sul perchè l'attività di proselitismo dell'Opus Dei si concentri su alcune figure professionali, specialmente di professionisti legati al panorama legale – commerciale.


Questa terza parte, più tecnica e meno valutativa, è sicuramente di agevole e coinvolgente lettura.


Tornando tuttavia, al tema centrale, e cioè Roveraro, quello che emerge, nel complesso, dalla sua personale carriera e da aspetti caratteriali che la maggioranza degli intervistati dichiara è un uomo casto, moralmente attento, fiducioso e appassionato, ma anche a volte affetto da quella semplicità un pò credulona che è tipica degli uomini di fede e di Chiesa.


Dobbiamo infatti pensare che l'Opus Dei, in quanto prelatura personale, ha delle regole, che si possono condividere o meno, ma non dovrebbero meravigliarci, in quanto l'adesione e la condivisione impone anche il rispetto della natura associativa e consociativa. Questo crea un percorso di amicizia e per effetto di conoscenze, spesso accomunate dal minimo comune denominatore della medesima religiosità. Non v'è alcunché di strano se persone vicine, per intendimento e introspettiva conoscenza, tendano a fidarsi gli uni degli altri.


Questo capita ovunque, e in tutti i settori, con ogni passione, sia essa hobby, attività e impegno.


Le persone si trovano, si piacciono, si fidano.


Ovviamente, l'Opera è un aggregazione che parte dal profondo, perchè si condivide la missione religiosa come voluta dal fondatore.


Orbene, sociologicamente, questa ipotesi può avere un effetto diverso ed opposto: può infatti paradossalmente unire tanto quanto isolare. Se gli appartenenti ad un movimento si trovano così bene fra loro e giudicano a tal punto appagante un sistema fatto di persone e di pensiero, da isolarsi rispetto alla realtà circostante, se ne perde quella cognizione, che è tipica del senso comune.


In buona sostanza, quando ci si rapporta alla giungla metropolitana, al di fuori degli schemi conosciuti, si corre il rischio di peccare di ingenuità. Il concreto rischio è che quel che si dice, si fa o si pensa, venga percepito da un universo sociologico diverso e sconosciuto, in modo del tutto anomalo ed imprevedibile.


E' quindi possibile che Roveraro sia stato vittima delle sue convinzioni e della fiducia che ha riposto, ingenuamente, nel prossimo, in persone che poi l'hanno tradito e condannato.


Questa è l'ipotesi più plausibile, che peraltro le carte giudiziarie del processo non smentiscono, ed è bene rammentare che a volte la semplicità coincide con la verità.


Meritano infine menzione, due temi trasversali che nel testo ritornano a più riprese, in tutte e tre le parti ed in diversi sotto paragrafi.


Il primo è quello dell'apostolato, cioè la necessità degli aderenti all'Opus Dei di fare proselitismo, cercando, in base a quello che emerge dalla lettura, di agganciare persone che abbiano o si stiano costruendo posizioni di peso nella società allo scopo di introdurle nell'Opera.


Il rischio di cui si legge è in effetti quello che l'Opera, vista e considerata un gruppo di interessi e di potere, possa stimolare o provocare una simulazione o dissimulazione in quanto, cercando il profitto per sé o altri, taluni si avvicinino con uno spirito capzioso, senza il dovuto rispetto e la consapevolezza emotiva del cammino interiore e sopratutto religioso. Individui senza scrupoli che, tramite la loro abilità, riescono a sfruttare l'Opera per guadagnarsi credito e potere materialista, costoro corrono il rischio di rappresentare un pericolo per i crismi della libertà costituzionale e per l'Opus Dei stesso.


Del resto non bisogna mai sottovalutare la natura umana, e su questo argomento sensibile, indubbiamente l'alto grado di riservatezza non aiuta. In buona sostanza, non essendo chiaro quale sia il metodo di avvicinamento e le valutazioni che stanno a monte di una sorta di considerazione preliminare alla frequentazione degli ambienti e delle persone legate all'Opus Dei, non è nemmeno facile intuire se tale meccanismo possa rivelarsi il classico boomerang.


Il secondo argomento che ritorna spessissimo riguarda la Massoneria. Gli Autori ne fanno di tutta l'erba un fascio, limitandosi a tratti a distinguere quella Internazionale che coinciderebbe con la Gran Loggia Unita d'Inghilterra e quella tutta Italica del Grande Oriente d'Italia. Gli Autori riportano passaggi dai quali emergerebbe che Roveraro era ossessionato dalla Massoneria e la considerava una sorta di problematica, un impasse, certamente avendone una visione negativa, ma non si comprende se per questioni affaristiche o di vero e proprio intendimento frutto di convinzioni personali.


Di fatto, l'organizzazione dell'Opus Dei è attenta e perentoria a smentire categoricamente qualsivoglia assimilazione con le Logge massoniche. In particolare, rifiutano l'ipotesi di essere, com'è stato detto: “una massoneria cristiana” (affermazione del superiore generale dei Gesuiti).


Come pure, è altrettanto perentorio il rigetto di qualunque punto di contatto con la Massoneria.


Gli Autori tuttavia, offrono un altro punto di vista, propendendo cioè per la tesi che vuole una compresenza, negli anni 80 e sopratutto 90, di massoni fuoriusciti dal Grande oriente, dopo lo scandalo P2, e confluiti direttamente nell'Opera.


Il lettore più scevro da preconcetti, dopo una simile lettura potrebbe interrogarsi su che genere di indagini gli appartenenti all'Opera sono in grado di compiere relativamente a chi, a loro avviso, potrebbe essere “un possibile” massone e quali contromisure siano, taluni, in grado di adottare, magari proprio quelli più ossessionati dalla contrapposizione con la Massoneria.


E' possibile che uomini di potere tentino di stroncare lavoristicamente o professionalmente, individui solo per la loro presunta appartenenza? E' un inquietante quesito su cui permangono delle zone d'ombra.


Ovviamente, gli Autori espongono le loro congetture, spesso con toni molto illativi, lasciando cioè che il dubbio serpeggi più come elucubrazione spontanea del lettore piuttosto che come una vera e propria trama ordina dai contenuti della narrazione. Ciò accade perchè si concentrano nell'esaltare il lato sospettoso di ogni questione legata all'Opera, senza consentire il contraddittorio ed è certo questo un elemento che deve far riflettere perchè si pone come un grave limite alla plausibilità ragionevole e logica di quello che viene proposto come possibile e realistico, laddove invece, si tratta di una presa di posizione evidentemente di parte, sicuramente invasiva.




“Opus Dei, il segreto dei soldi” è un libro strettamente consigliato solo a coloro che sono già convinti di alcuni elementi di forte critica nei confronti dell'Opus Dei e come tale, avendo un giudizio negativo in proposito, vogliono solo trovare conferme a prescindere dal realismo. Non è un testo rivelatore per quanto riguarda l'omicidio Roveraro, e non svela alcun enigma nel mistero relativo alla sua vita professionale e ancor meno di quella spirituale. E' scritto in maniera spesso confusionale, con un eccessiva e prolissa spendita di nomi che rendono difficilissimo al lettore orientarsi. Un testo poco realistico e scarsamente documentato, che a tratti diventa molto capzioso, strumentale, spesso non rispettando i limiti e la demarcazione necessaria fra diritto di cronaca e critica vera e propria.


NOTA dell'Autore:

La presente recensione tratta argomenti che si rinvengono dalla lettura del libro “Opus Dei, il segreto dei soldi” e come tale parte dal presupposto offerto, sui medesimi, dagli Autori del testo. Ciò non toglie che sugli stessi argomenti si potrebbe disquisire secondo diversi punti di vista, nel momento in cui la materia fosse svincolata da una valutazione a mò di opinione, legata ad una pubblicazione.

Le valutazioni espresse possono sembrare a tratti favorevoli all'Opus Dei, dando l'impressione al lettore che si sconfini in una sorta di difesa d'ufficio, a tal proposito, onde fugare ogni sospetto in proposito, l'Autore di questa recensione non è membro dell'Opera a nessun titolo e/o grado, ne lo è mai stato.

                                                                             Marco Solferini

224382_1723754016739_1325014561_31511261_1798623_n




Nessun commento:

Posta un commento